“La sola opera in cui -alla metà del XII secolo- un dettatore dedica uno spazio teorico alla trattazione dell’epistola d’amore, assegnandole il rilievo e l’importanza riservata alle altre categorie epistolari, sia pubbliche che private”. È attribuita a Maestro Guido, attivo in area tosco-emiliana; prima di lui si leggono solo alcuni esempi di lettere sentimentali, ma nessuno aveva mai affrontato l’argomento in sede astratta.
Così si esprime la ricercatrice Elisabetta Bartoli, che ha curato il volume “Trattati e raccolte epistolari”. Firmato da Edizioni del galluzzo (414 pagine, 68,00 euro), accoglie la prima versione dello studio realizzato dall’autore medievale. Gli interventi più importanti sono un saggio sulla composizione di lettere e due selezioni di missive.
Il primo, che si intitola “Modi dictaminum” (cioè i modi della composizione epistolare), è conservato in un solo manoscritto, il codice CCLXII (234), e si trova alla Biblioteca capitolare di Verona. Il testo è incompleto, ma quanto rimane testimonia l’importanza dei suoi contenuti: come avveniva di solito, si inserivano modelli a scopo didattico.
Le due collezioni di carteggi -conservate con il codice 45 all’Accademia dei filopatridi di Savignano sul Rubicone (Forlì-Cesena)- spiccano per gli esempi di missiva familiare (tra genitori e figli, tra maestri ed allievi, tra innamorati…) e per modelli di epistolografia pubblica (hanno come protagonisti i personaggi di allora e molti sono comuni anche ai “Modi dictaminum”).
Sotto il profilo storico, tali documentazioni appaiono prodighe di notizie sull’Italia al tempo del Barbarossa, ritratta tanto nella sua realtà comunale che in quella dei ceti dominanti.