Mentre i Paesi Upaep dedicano il loro “giro” 2011 alle cassette postali, l’Italia sull’argomento festeggia un cinquantenario. Anche se i diretti interessati, a cominciare dalla società incaricata del servizio universale, probabilmente ne hanno persa la memoria. Da mezzo secolo sono operative le cassette a doppio scomparto, introdotte nelle grandi città per indurre il mittente ad effettuare una prima, seppure grossolana, ripartizione degli oggetti. Così da affrontare meglio le fasi critiche, che “rimangono tuttora quelle della raccolta e del recapito”, scrisse il capo di gabinetto del ministero Pt Aurelio Ponsiglione nella rivista “Poste e telecomunicazioni”, per la precisione nel numero di marzo-aprile del 1961.
L’idea prese avvio “dalla constatazione che in una normale cassetta, piena di corrispondenza, in media il 25% circa ha destinazione locale, nella stessa città, mentre il resto inizia un viaggio più vario”. Verso l’estero è diretto il 15% del quantitativo (dal Sud il 9%, per lo più lettere e cartoline, il 6-7% dal Nord, in prevalenza fatture, comunicazioni commerciali, dépliant). Il suggerimento di aggiungere contenitori appositi venne scartato (sarà adottato decenni dopo per le destinazioni oltre confine), in quanto -oltre a imporre lavoro supplementare, poteva risultare inutile: “è noto che in pratica gli operatori addetti alla vuotatura, sia pure per le poche «buche» speciali già esistenti finiscono -a ciò spinti da una inderogabile esigenza di semplificazione- con l’effettuare la vuotatura con un’unica sacca, mischiando di nuovo tutti gli oggetti là dove il pubblico ha già effettuato l’impostazione separatamente. E anche ove la raccolta venisse effettuata separatamente, l’esperienza ha messo in evidenza che lo scarico presso gli uffici di ripartizione avviene spesso promiscuamente su di un unico tavolo raccoglitore”.
Vennero introdotti, quindi, contenitori identici ai precedenti, ma con due feritoie uguali (si ipotizza persino un differente colore degli imbocchi, in modo da agevolare gli analfabeti), una “per la città”, la restante “per tutte le altre destinazioni”. Internamente, la separazione è obliqua, così da ridurre la volumetria della prima sezione rispetto alla seconda ed anche il sacco affidato all’incaricato presenta la doppia ripartizione, permettendo con un unico atto di scaricare entrambi gli spazi. Nel furgone avviene il travaso in altri recipienti, al fine di recapitare all’ufficio dei portalettere le corrispondenze urbane e a quello di ferrovia le restanti, evitando ulteriori procedure.
Il progetto -spiegano le cronache di allora- venne introdotto sperimentalmente agli inizi dell’anno a Napoli “sotto il profilo postale, una delle città più progredite”. Si cominciò con una cassetta sola, poi, nella notte tra l’8 e il 9 aprile, le circa quattrocento esistenti venero sostituite (sul lato di ognuna, ulteriore novità, comparvero le tabelle con le principali tariffe e gli orari di servizio degli uffici). Il progetto fu presentato tramite una conferenza stampa, annunci alla radio locale e alla televisione, opuscoli e persino comunicazioni inoltrate ai mittenti che avevano sbagliato. Era l’“Operazione buche”, come venne definita.
Il pubblico partenopeo, sollecitato con l’invito-slogan “Aiutateci a servirvi meglio” (visto fra l’altro in numerosi annulli meccanici), ripartì “con esattezza -pari quasi al 100%”; costituì il necessario esito affinché l’approccio fosse esteso, prima a Milano e poi nel resto delle grandi città.
E non mancò la proposta... turistica. “Perché non istituire -suggerì dal «Bollettino filatelico» di maggio Nino Bruschini- una timbratura speciale per le lettere «città per città»? Ad esempio un annullo figurativo con elementi della città stessa e con una dicitura che indichi come la lettera abbia viaggiato solo nel perimetro cittadino?”. Oggi la definiremmo “a chilometro zero”, o quasi!