Un decreto-legge (è il 19 del 2 marzo scorso, pubblicato in “Gazzetta ufficiale” lo stesso giorno), intitolato “Ulteriori disposizioni urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza”. Dentro si trova una notizia che va evidenziata.
È all’articolo 20. Dice, fra l’altro, che “ai fini del rafforzamento dell’interoperabilità tra le banche dati pubbliche e di valorizzazione della Piattaforma digitale nazionale dati… nonché di razionalizzazione e di riassetto industriale nell’ambito delle partecipazioni detenute dallo Stato”, sono attribuiti rispettivamente all’Istituto poligrafico e zecca dello Stato, in misura non inferiore al 51%, e, per la restante quota, al fornitore del servizio postale universale (cioè a Poste italiane) “i diritti di opzione per l’acquisto dell’intera partecipazione azionaria” nella società Pagopa.
Quest’ultima -va ricordato- rappresenta l’attuale tramite per i pagamenti dei cittadini e delle imprese verso la Pubblica amministrazione. L’azienda ha un socio unico, lo Stato, attraverso il ministero dell’Economia e delle finanze, con un capitale pari a 1 un milione di euro.
A prendere l’iniziativa pubblica è stato il Codacons, che ha presentato un esposto all’Autorità garante della concorrenza e del mercato e alla Corte dei conti, “chiedendo di accendere un faro sull’operazione”. Secondo il sodalizio, “risulta evidente che il sistema prioritario è il ricorso al mercato (al miglior offerente) con procedura aperta, relegando in via residuale ed eccezionale la negoziazione diretta, in linea con l’orientamento giurisprudenziale del Consiglio di Stato”. Qualora il compenso pagato da Ipzs e Poste dovesse essere inferiore al valore di mercato delle quote in Pagopa, “si potrebbe ipotizzare una violazione della disciplina sugli aiuti di Stato”.
La scelta dell’Esecutivo, comunque, è stata fonte di ulteriori perplessità, espresse sia da parte della stessa Agcm, sia sottoscritte dall’Associazione bancaria italiana.