Tulle, cittadina francese agli inizi del secolo scorso. Una provincia un po’ appartata, un posto come tanti, con la quiete dei vicoli e l’animazione delle piazze, il mercato e la cattedrale, la Corrèze, cioè il fiume placido costeggiato da alberi ombrosi. Tulle, abitata da distinti borghesi e da antiche famiglie di artigiani e commercianti. Tulle, una provincia tipica, in cui le velleità urbane convivono con le radici contadine. Un luogo tranquillo, insomma. Che cosa potrà mai accadere di straordinario nell’anonima Tulle?
È da tale contesto che prende spunto “Le calligrafie del corvo”, storia veramente accaduta e trasformata -con il supporto dei documenti dell’epoca e valorizzando gli scritti epistolari- da Francette Vigneron in un libro, edito da Nutrimenti (416 pagine, 18,00 euro).
Racconta la vicenda di lettere anonime firmate “Occhio di tigre”. È il 1917 quando la prima della lunga serie -saranno migliaia- comincia ad incrinare la calma apparente, prima in maniera sotterranea, poi sempre più eclatante, sollevando il coperchio su un groviglio di vizi veri o presunti, disseminando odio e oscenità, causando la morte di due persone, fino ad un epilogo che tenne l’intero Paese col fiato sospeso, scuotendo l’opinione pubblica e chiamando in causa le voci dei più autorevoli medici e scienziati dell’epoca. Chi era l’oscuro firmatario delle missive vergate a mano, che per cinque, lunghi anni tenne in scacco una comunità intera?
Il caso giudiziario ispirò a Jean Cocteau la pièce teatrale “La macchina per scrivere” (1941) ed a Henri-Georges Clouzot il film “Il corvo” (1943).