Internati italiani. Furono denominati così dai tedeschi “i soldati italiani catturati in Patria e sui fronti di guerra all'estero nel settembre 1943 dopo la proclamazione dell’armistizio. Non vollero qualificarli «prigionieri di guerra» per sottrarli al controllo e all’assistenza degli organi internazionali previsti dalla convenzione di Ginevra del 1929”. Erano “le vittime predestinate al «castigo esemplare» che Hitler aveva promesso agli italiani, rei di essere venuti meno al patto di alleanza, che era in realtà un rapporto di soggezione”. Così oggi dall’Associazione nazionale ex internati spiegano la tragedia degli Imi, i combattenti che rifiutarono di aderire alla Rsi al prezzo della prigionia.
A questo argomento è dedicato il lavoro di Mario Avagliano e Marco Palmieri, giornalisti e studiosi di storia. Si intitola “Gli internati militari italiani - Diari e lettere dai lager nazisti 1943-1945” (Einaudi, 404 pagine, 20,00 euro).
La rivendicazione della Resistenza antifascista -dice nella prefazione lo storico Giorgio Rochat- “si è ridotta per decenni al dibattito politico sulla guerra partigiana. Negli ultimi anni registriamo il recupero di una dimensione più ampia. Contiamo la resistenza contro i tedeschi delle Forze armate all’8 settembre. Poi la guerra partigiana e la deportazione politica e razziale”. La partecipazione delle Forze armate nazionali alla campagna alleata in Italia. E infine la resistenza degli Imi.
Per la grande maggioranza dei 650mila militari italiani che preferirono la prigionia al passaggio sotto Salò, la fedeltà alle stellette “fu la motivazione più comune e diretta”. “Erano degli sconfitti che avevano vissuto il fallimento del regime fascista, la misera fine delle guerre di Mussolini, lo sfacelo delle Forze armate all’8 settembre. Tutti avevano ragione di sentirsi traditi dal re e da Badoglio, che li avevano abbandonati senza ordini agli attacchi tedeschi”.
Un capitolo del saggio, rafforzato dalle testimonianze dirette, è espressamente intitolato alla fame, ai pacchi e alla posta.