Una storia, vera, con due vittime. È quella scritta da Sarah Ghazi, nome di fantasia dietro al quale si cela una giovane donna libanese che vive nel Nord Italia.
Il compagno dell’autrice, libanese anch’egli, si è trasformato da normale musulmano in estremista islamico. Oltre ad averla costretta al burqa e alla morte civile, è riuscito a rapire il loro unico figlio, Marco, e ad affidarlo ad una zia di Beirut. Sarah quindi non vede il piccolo da cinque anni perché la famiglia del partner, forte anche di una sentenza del tribunale islamico, l’ha dichiarata persona indegna di essere madre. Oggi Sarah si è liberata dal burqa e del compagno. Ma non è ancora riuscita a rivedere il figlio. La battaglia legale per riallacciare quel cordone ombelicale spezzato è sospesa e resa complicata dal coinvolgimento di ambasciate, diritto internazionale e fondamentalismi vari.
“Lettera al mio bambino rapito” (250 pagine di Mondadori, 18,00 euro) è il racconto, giorno dopo giorno, di questa vicenda. Comincia con la felice infanzia della protagonista in una Beirut appena ricostruita dopo la guerra, col viaggio in Italia per studiare Medicina, lo sbocciare di un amore che poi si trasforma in prigione, sevizie e negazione dei diritti umani, fino al peggiore degli incubi: il rapimento e la privazione del diritto di essere madre. Una storia terribile e straordinaria, il cui finale è ancora tutto da scrivere.