“Vengo con questa mia presente lettera per rispondervi alla vostra graziosa lettera e il vaglia che ho ricevuto e la cartolina che o anche ricevuta questa mattina dandovi la bella e consolante notizia che grazie ha Dio godo una perfetta salute come pure spero di voi tutti. Sono per ringraziarvi della premura che vi avete preso nel spedirmi il vaglia e nello stesso tempo vi chiamo scusa se sono un poco noioso nel mandarvi ha chiamare dei denari”. Così, un secolo fa, un soldato si rivolgeva ai genitori. Una delle tante missive spedite allora ed ancora conservatasi per l’interesse di storici ed appassionati.
Insieme a numerose altre, si trova citata nel volume di Alessandro Magnifici “La censura di trincea - Il regime postale della Grande guerra” (Nordpress, 176 pagine, 18,50 euro). Non recentissimo, permette però, a chi si avvicina ora all’argomento, magari sula scia delle commemorazioni centenarie, di avere un ulteriore riferimento. Anche perché -si legge nelle pagine introduttive- “non è più importante soltanto indagare degli eventi macrostorici, ovvero delle grandi battaglie, dei grandi movimenti politici e diplomatici; bensì anche parlare della microstoria, cioè di tutti quegli eventi e di quegli aspetti apparentemente minori, ma che in realtà hanno costituito il tessuto delle dinamiche militari e sociali che hanno caratterizzato l’evento guerra nel suo complesso”.
Grazie all’apertura degli archivi statali, sono emerse “centinaia di sacchi di lettere che sono state censurate. Censurate non nel senso che sono state corrette o parzialmente oscurate, ma più radicalmente nel senso che non sono mai giunte a destinazione”. Una sorta di “memoria negata”, un’enorme fonte della Prima guerra mondiale che attende ancora di essere valorizzata pienamente.