Austro-ungarici distratti o perdita di informazioni a causa del tempo trascorso? Difficile rispondere; l’unico elemento disponibile è quanto gli organizzatori, che fanno capo all’Istituto per la storia del Risorgimento italiano, hanno precisato a “Vaccari news”: “notizie relative a fotografie e servizi postali al momento non ne abbiamo rilevate”.
Così, la mostra “L’occhio del nemico - Fotografie austro-ungariche della Grande guerra”, visitabile a Roma presso il Vittoriano fino al 30 aprile, appare monca di un importante aspetto.
Già perché Vienna, durante la Prima guerra mondiale, organizzò un reparto apposito per documentare, attraverso la macchina fotografica, la vita dei mobilitati. Un obiettivo molto attento, che indugia con minuzia nelle corsie degli ospedali, nei momenti di riposo o sotto le docce, nelle lavorazioni per macellare la carne o cuocere il pane, nel documentare le distruzioni alle case di Palmanova o la vita civile, nonostante i tempi difficili, di Trieste e Codroipo. Si vedono telefoniste, veterinari impiegati a soccorrere un cavallo ferito, prigionieri italiani, ma -stranamente- niente postini o portaordini, e nemmeno la tipica scena del soldato che legge, o si fa leggere, la lettera giunta da casa.
Eppure, ricorda ad esempio Augusto Leggio dalle pagine di “Nel tempo e nello spazio - Storia illustrata della posta e della telecomunicazione”, “la posta assunse il ruolo fondamentale di assicurare lo scambio di informazioni e di ordini relativi alle operazioni militari ma rappresentò anche il mezzo insostituibile per unire le famiglie ai militari inviati al fronte. Durante la Prima guerra mondiale gli uffici di posta militare arrivarono a smistare dieci milioni di lettere al giorno”.
Il materiale proposto, circa 150 immagini suddivise in quattro sezioni (ritratti, paesaggi, particolari e città), fa parte di un fondo di circa tremila scatti, conservati all’Istituto. Dell’autore non si ha nessun elemento ma, dato l’alto livello utilizzato per le tecniche di ripresa e la scelta dei soggetti fotografati, “è certo che fosse un professionista e, molto probabilmente, inquadrato nelle file dell’Esercito” di Francesco Giuseppe.
“L’elegante semplicità delle inquadrature, la classicità degli atteggiamenti e delle pose, la nitidezza della luce che scolpisce i particolari quasi lenticolari della natura, lo sguardo partecipato e solenne, presuppongono -aggiunge il curatore, Marco Pizzo- una cultura estetica non comune”. Specie se il fondo viene raffrontato con le fotografie realizzate dai reparti italiani, dove prevale un taglio più documentaristico e di reportage fotografico”.
Ad ingresso libero, la mostra osserva gli orari 9.30-17.30 per l’intera settimana.