Fu la legge 503 del 1913 che rinnovò il comparto dei servizi garantiti da privati (news precedente). Stabiliva che l’Amministrazione postale potesse permettere ad aziende il trasporto per espresso, previo il pagamento di un canone pari a 2 centesimi a plico, elevato a 5 nel 1923 ed a 10 due anni dopo. Con il 1926, si aggiunge il via libera per banche, ditte, istituti ed enti: potevano consegnare in loco, e senza intermediari, le loro corrispondenze epistolari, applicando le stesse norme delle agenzie.
Un sistema -ha ammesso, nella sua conferenza, Valter Astolfi- non scevro da problemi, perché il calcolo di quanto dovuto allo Stato era forfettario. Da qui il varo, nel 1928, della prima marca specifica, da 10 centesimi, per il recapito autorizzato. Sistema che verrà confermato per diversi decenni.
Ma un altro capitolo si aprì nel 1920, all’epoca dello sciopero dei postali. Riprendendo esempi registrati all’estero, la Camera di commercio meneghina decise di intervenire per offrire al pubblico un’alternativa. Secondo il progetto, le spedizioni extraurbane sarebbero avvenute da Camera a Camera. Per dimostrare il pagamento vennero impiegate delle vignette pubblicitarie della rivista “L’industria meccanica”. In un secondo tempo, queste furono ristampate più piccole e con l’indicazione del valore: 20 centesimi (per il trasporto locale), 35 (extraurbano fino ai dieci grammi di peso) e 50 (entro i venti grammi). L’ultimo miglio era affidato alla struttura pubblica, ma non tutte le direzioni provinciali accettarono di distribuire in regime di esenzione la corrispondenza loro portata dalle Camcom. A Treviso, per dire, non vi furono problemi. A Torino, invece sì: le buste si caratterizzano per la presenza, accanto alle vignette, di francobolli ufficiali o, in loro mancanza, del segno di tassazione.