Il mondo postale, almeno una volta, si incominciava a conoscerlo ed apprezzarlo da piccoli. Sembra quindi naturale che Antonio Gibelli, nel libro “Il popolo bambino – Infanzia e nazione dalla Grande guerra a Salò” (Einaudi, 412 pagine, 25,00 euro), non trascuri il settore.
Diversi, infatti, i riferimenti, senza contare i due capitoli che trattano, rispettivamente, di piccini in cartolina e scrivere al duce.
Le cartoline illustrate per Gibelli costituiscono “uno dei più ampi depositi dell’immaginario collettivo in epoca pre-televisiva”. Anzi, s’impongono “quale primo grande strumento di comunicazione di massa”, perché “dobbiamo pensare non solo all’acquisto e alla spedizione, ma al passaggio di mano in mano, all’esibizione, insomma al consumo anche involontario di un pubblico che va oltre il mittente e il destinatario”.
Meno immediato è l’altro capitolo, che parte da un dato di fatto: le lettere spedite dai giovanissimi a Benito Mussolini risultano depositate in gran numero negli archivi, al pari di quelle degli adulti. “A firmarle sono piccoli di ogni condizione e provenienza”. Contengono, ma non solo, “suppliche, richieste di favori, sovvenzioni, raccomandazioni, di un posto di lavoro per uno dei genitori, e quindi denotano uno stato di indigenza”.