Forse mai come nella mostra aperta a Roma presso la Galleria Corsini (è in via della Lungara 10) si possono osservare i sottintesi che lo strumento epistolare conservava. Di fronte ad un analfabetismo molto diffuso, chi sapeva leggere emergeva e, come rappresentazione -secondo i casi- di prestigio o potere, nei dipinti la missiva accompagnava il personaggio insieme ad altri elementi, quali i vestiti sfarzosi e gli ambienti ricchi.
Il percorso, aperto sino al 17 febbraio e curato da Stefano Pierguidi, s’intitola “Guido Reni, i Barberini e i Corsini. Storia e fortuna di un capolavoro”. Ruota intorno “a uno dei quadri più emblematici della storia della collezione”, viene spiegato. È la “Visione di sant’Andrea Corsini”, commissionata dalla famiglia a Guido Reni per la canonizzazione (avvenuta nel 1629) del santo vissuto nel Trecento. L’opera viene messe a confronto con altre collegate, fra cui appunto alcune che hanno un richiamo ragionevolmente postale.
Ecco, in particolare, tre oli su tela che portano il nome di Agostino Masucci, realizzati rispettivamente nel 1730 circa (è affidato alla Biblioteca corsiniana della capitale), nel 1737 (Biblioteca centrale nazionale “Vittorio Emanuele II”) e in un periodo compreso tra il 1730 ed il 1740 (collezione privata). Sono “Ritratto di Clemente XII e del cardinale Neri Maria Corsini”, “Ritratto del cardinale Neri Maria Corsini insieme a padre Evora e altri prelati” e “Ritratto di Clemente XII Corsini”. Del primo quadro i visitatori possono scoprire anche la versione musiva, presente nella stessa sede, databile sempre attorno al 1730 e dovuta a Pietro Paolo Cristofari. Gli uomini effigiati guardano verso il pittore, ovvero appaiono in posa, consci del proprio ruolo. Nonostante siano loro i veri protagonisti, nelle scene la lettera riesce sempre a “ritagliarsi” un ruolo importante: il cardinale la commenta al papa, figura al centro della rappresentazione a quattro, il pontefice la tiene in mano, quasi l’artista l’avesse distolto dall’analisi.