Nessun francobollo per commemorare nel centenario il “Vecchio sporcaccione”, come venne definito nel titolo di una sua raccolta. Né dalla Germania, dove nacque il 16 agosto 1920 (quindi il secolo scocca oggi), né dagli Stati Uniti, dove visse dalla tenera età e fino alla morte, avvenuta il 9 marzo 1994. Pensare che in rete vi sono diverse riproduzioni fantasiose di cartevalori che lo evocano, anche perché nella sua vita fece, e raccontò, il mestiere del portalettere.
È Charles Bukowski, scrittore e poeta, il quale ha lasciato non pochi lavori, caratterizzati da un linguaggio crudo e diretto.
Uno dei più noti è “Post office”, dove il suo alter ego, Henry Chinaski, è un postino. Edito ora da Tea (10,00 euro), lo descrive con la sacca di cuoio sulle spalle impegnato a girare in lungo e in largo attraverso la squallida periferia di Los Angeles. Profondamente deluso dalla monotona routine quotidiana e insofferente ai rigidi regolamenti della macchina burocratica, il personaggio si consola affondando le frustrazioni nell’alcol e trovando rifugio tra le morbide braccia di donne più sole di lui. Tra clamorose sbornie, azzardate puntate all’ippodromo e “movimentate” nottate in motel sgangherati, riesce a “guadagnarsi” il licenziamento e a farsi riassumere, ma solo per dimettersi definitivamente, inorridito e disgustato da quell’immenso ufficio che, poi, è la vita stessa.
Tra gli argomenti citati nelle 192 pagine, le cassette troppo piene di corriere, il difficile rapporto con i cani, le “trappole” presenti sul percorso da compiere, i rimbrotti dei destinatari, le difficoltà, l’addestramento (continua).