Ieri pomeriggio la riunione, che qualcuno ha definito “segreta”, tra Governo, Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e Poste italiane sul futuro di quest’ultima. E, a tarda sera, la pubblicazione, da parte di palazzo Chigi, di una nota. Nota che, visto l’argomento, si potrebbe definire… telegrafica.
Tra i commenti di questa mattina, quello dei dipendenti della società che lavorano nel Veneto Orientale, riuniti sotto al nome “Il postale”. Si intitola “Poste: venderle oggi vuol dire svenderle!”.
Si tratterebbe -è il riassunto- di vendere il 40% delle quote, per un’entrata stimata pari a 3-4 miliardi di euro. Rinunciando, dunque, ad ipotesi “spezzatino” precedenti, quali la cessione di Poste vita, fra le realtà in questo momento più remunerative. In ogni caso, coerentemente con quanto annunciato il mese scorso dal presidente del Consiglio Enrico Letta, la maggioranza delle azioni rimarrebbe in mano pubblica. Previsti incentivi all’azionariato in favore del personale e la nomina di loro rappresentanti nel consiglio di amministrazione. Al tempo stesso, è contemplata la verifica della convenzione con Cassa depositi e prestiti per la raccolta del risparmio (“un quinto dell’intero debito pubblico”), nonché il problema dei crediti che Poste vanta nei confronti del Governo, pari ad oltre 1.300 milioni.
“Solo dall’elenco -è il commento- si intuiscono tutte le difficoltà a vedere valorizzato il valore delle azioni vendute: qual è il privato che investe 3-4 miliardi di euro per acquisire il 40% di una azienda pubblica di cui non avrà il controllo?”.