Tariffe più costose ma declinate in funzione ai quantitativi spediti, nonché semplificazione negli aspetti tecnici, in modo da agevolare i grandi utenti. Le misure introdotte dal Canada due settimane fa non sono che la punta dell’iceberg. Dietro, un approccio complesso, che si svilupperà nei prossimi mesi. Quattro gli altri punti principali definiti.
Dal secondo semestre, ed entro un lustro, anche l’ultimo terzo delle abitazioni rimasto non si vedrà più recapitare il corriere alla porta di casa, ma dovrà ricorrere alle cassette comunitarie, ossia vani singoli che possono accogliere lettere e pacchetti, ed altri grandi, sempre dotati di chiave, per gli invii più ingombranti. Questo permetterà all’operatore importanti economie.
Già sono una realtà gli uffici postali concessionari, ma Ottawa vuole aumentarli. Lo farà stringendo accordi con aziende di vendita al dettaglio, ubicate in luoghi centrali, che osservano orari di apertura prolungati e magari offrono parcheggi più comodi. Fermo restando che la rete ufficiale dovrà essere rimodulata in funzione degli effettivi traffici registrati.
Anche nel Paese nordamericano ci si concentra sugli invii originati dal commercio elettronico. Una serie di cambiamenti interni permetterà -assicurano dagli sportelli- di operare meglio. Questo grazie soprattutto alla tecnologia ed alla centralizzazione delle attività. I mezzi di trasporto saranno gradualmente sostituiti con quelli a minor consumo e capaci di trasportare pure oggetti voluminosi.
Più complesso è il problema del costo registrato dalla manodopera. È un dato di fatto che saranno necessari meno dipendenti. Adesso -viene aggiunto- si registra una struttura molto più onerosa rispetto a quelle dei concorrenti, stato non più praticabile. Quindi, spazio alla contrattazione collettiva, sapendo che l’età media del personale ora è di quarantotto anni e che, nello spazio di un lustro, quindicimila persone andranno in pensione o comunque lasceranno l’azienda.
Tutto questo per limitare le pesanti perdite registrate negli ultimi esercizi: se non si porrà un rimedio, metteranno in pericolo l’autonomia finanziaria, gravando su clientela e contribuenti. Gli esperti stimano un “buco” pari ad un miliardo di dollari locali entro il 2020. Però, secondo le aspettative, le misure decise dovrebbero riportare all’equilibrio dodici mesi prima. La revisione tariffaria ed i primi tre provvedimenti, una volta concretizzati, dovrebbero consentire di recuperare tra i 700 ed i 900 milioni l’anno.