Collezionisti… di file, quelli che si stanno aggirando all’Expo in questi ultimi giorni (le porte si chiuderanno definitivamente il 31 ottobre). Alla caccia di sorprese, sia pure tra una coda e l’altra, entrambe obbligate. Sorprese anche postali, che si aggiungono a quelle segnalate nel tempo da “Vaccari news”. Come la presenza, nel presidio della Cina Popolare (è il 56), di francobolli personalizzati riguardanti l’appuntamento lombardo. O, in quello di Tuvalu (64), di fotocopie a colori inerenti emissioni varie nazionali: vi sono solo le riproduzioni, a mo’ di colorato riempitivo, perché le cartevalori non sono in vendita.
E poi c’è la mostra d’arte, “Il tesoro d’Italia”, ideata da Vittorio Sgarbi ed ospitata presso l’area di Eataly (62). Sono tele, statue, mobili, oggetti decorativi, in qualche punto presentati in una sequenza particolarmente... densa (risultano circa duecento, annuncia il cartello all’ingresso). L’allestimento, che spazia tra il Medioevo ed il momento attuale, è capace di abbinare nomi noti con altri che non lo sono molto. Intende evidenziare e proporre ai visitatori una parte dell’inestimabile patrimonio culturale regionale, con un focus su venticinque autori di oggi. L’obiettivo -ha detto il fondatore della catena commerciale, Oscar Farinetti- è “dimostrare che l’Italia ha anche la maggiore biodiversità artistica del mondo. Il nostro è un dono che facciamo ai visitatori, chi vuole venire qui a vedere le opere, non deve pagare nulla, neanche il prezzo di un caffè”.
Il dipinto oggetto dell’attenzione è di Fausto Pirandello (1899-1975) e s’intitola “La lettera”. Il plico che dà il none all’opera, già piegato in quattro, è collocato sul tavolo insieme ad altri oggetti, fra cui un pacco ed un giornale. È un olio su tavola risalente al 1929; il 15 ottobre 2007 a Londra da Christie’s passò di mano per 78.500 sterline, contro una stima compresa tra i 45 ed i 65mila. Ora è conservato a Milano ed appartiene alla collezione dell’avvocato Giuseppe Iannaccone.
Nel percorso espositivo vi è pure un reperto il cui significato è principalmente storico-religioso, anche se non gli manca un certo gusto estetico. È la “Bolla del perdono” firmata il 29 novembre 1294 da papa Celestino V. Come dire: non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace.